Il drammatico ritiro americano dall’Afghanistan ha sollevato una serie di domande di scottante attualità. La strategia dello “scontro di civiltà” ha avuto senso? Per sconfiggere un gruppo di terroristi era necessario scatenare una guerra infinita e occupare L’Afghanistan e l’Iraq? Perché non furono ascoltate le ragioni di Papa Giovanni Paolo II che voleva impedire lo scontro armato?
A rivelare cosa accadde tra il Vaticano e il Governo USA è il professor Massimo Borghesi, un filosofo e intellettuale di grande spessore, uno dei maggiori esperti della politica vaticana, autore di molti libri in lingue diverse, l’ultimo dei quali ha per titolo: “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo”.
In una intervista pubblicata da “Vita” il 10 settembre, Borghesi racconta che Giovanni Paolo II sollevò un’opposizione appassionata e decisa per impedire le due guerre americane contro l’Irak: quella di Bush senior nel 1991 e quella di Bush jr nel 2003.
Nel 2003 Wojtyla inviò il Cardinale Roger Etchegaray a parlare con Saddam e il Cardinale Pio Laghi a parlare con George Bush jr, nel tentativo di evitare il conflitto.
Il Cardinale Laghi disse a Bush che sarebbero successe tre cose se gli Stati Uniti fossero entrati in guerra. Primo, il conflitto avrebbe causato molte vittime e feriti da entrambe le parti. Secondo, esso avrebbe condotto a una guerra civile. E terzo, gli Stati Uniti sarebbero sì stati in grado di entrare in guerra, ma avrebbero avuto molte difficoltà ad uscirne.
Ha sottolineato Borghesi che si trattava di una diagnosi profetica, ma Bush fu irremovibile in una decisione che – disse – era convinto che fosse «la volontà di Dio».
Bush disse anche che, nonostante il disaccordo sull’Iraq, il suo Governo era però in sintonia con la Chiesa su altre questioni. Bush propose a Laghi l’alleanza teocon con la Chiesa in nome della difesa dei valori non negoziabili. Al che il Cardinale rispose: «Sì, i valori a favore della vita e della famiglia sono molto importanti, poiché sono basati sui principi della legge naturale, sui diritti umani e sul Vangelo. Ma Signor Presidente, io sono venuto qui per chiederle di non andare in guerra, che è un altro valore basato su questi stessi principi…».
Ha scritto Borghesi che l’opposizione del Papa alla guerra fu radicale, ma l’intera comunità politica occidentale si unì agli USA per «l’esportazione guerriera della democrazia e il Nuovo Ordine Internazionale. Un ordine pagato con migliaia di morti, una guerra infinita, l’esodo biblico della comunità cristiana perseguitata dalle terre di Ninive e Babilonia».
Ed ha aggiunto: «A rendere la posizione della Chiesa un’amara profezia ci sono anche le immagini: 20 anni fa vedemmo con sgomento persone precipitare disperate dalle Torri in fiamme. Oggi abbiamo visto altre persone precipitare dagli aerei in decollo da Kabul. Che si tratti di terrorismo o di guerre “legittime” la violenza ha sempre lo stesso risultato… la morte di innocenti».
Ha spiegato Borghesi: «Dopo l’11 settembre era prevedibile la reazione americana. Nessuna potenza può lasciare impunito un crimine simile. Però il nemico era Bin Laden non l’Afghanistan. Al contrario, la guerra è stata una dimostrazione di forza offerta non ai Taliban ma al mondo. Dopo l’89 l’America non poteva tollerare che il monopolio mondiale del suo potere fosse offuscato. Russia e Cina dovevano comprendere che nulla era cambiato. La palude afghana è il risultato di una sfida egemonica che ha portato, come risultato, ad un nuovo Vietnam e alla diminuzione del prestigio americano nel mondo».
In conclusione Borghesi ha tracciato le linee di un nuovo quadro geopolitico che sta emergendo:
«Nulla torna come prima. Gli USA odierni non sono più l’unica potenza mondiale e il mondo è molto più insicuro rispetto al 2001. La preoccupazione di Papa Francesco espressa nella frase “la terza guerra mondiale a pezzi”, è questa. L’ordine mondiale creato dopo il 1945 e ricomposto sotto l’egida americana dopo l’89 si va sfaldando.
L’Europa, dopo aver rischiato di dissolversi grazie alle politiche economiche neoliberiste e al vento dei populismi, deve ripensarsi a partire dal suo nucleo storico.
Deve continuare i suoi rapporti con gli Stati Uniti, che sono anche relazioni di civiltà, ma non deve tagliare fuori Russia e Cina.
Deve altresì trovare ponti con il mondo islamico e tornare a sostenere lo sviluppo dell’Africa. Non c’è alternativa alla politica dell’equilibrio, al multilateralismo. Non solo per realpolitik.
La pace richiede il multipolarismo, l’ideale della polarità che il Papa ha ereditato dal pensiero di Romano Guardini e posto al centro del pensiero sociale della Chiesa. Nei tempi di crisi la politica torna ad essere una forma eminente della carità.
Occorre tornare alla grande politica, capace di progettare oltre la congiuntura del momento e di guardare fuori del proprio cortile. Una politica del bene comune. Qui c’è molto da fare, in termini di esperienza e di studio. Si tratta di riguadagnare, soprattutto per i giovani, una memoria perduta. La passione per l’ideale, fuori dal cinismo apatico e dal cinismo fanatico, deve tornare a permeare la realtà».
Testo completo dell’intervista a Massimo Borghesi:
Redazione