Nel
precedente articolo avevamo indicato l’esistenza della Sindone durante le persecuzioni, collocandola con molta probabilità a Edessa. Nel periodo successivo – e più precisamente dall’VIII sec. in poi – la carenza di informazioni va ricercata nel fatto che in Oriente scoppiò l’Iconoclasmo (o lotta iconoclasta), movimento che condannava la produzione, detenzione ed esposizione di immagini sacre.
Purtuttavia troviamo traccia della Sindone in maniera indiretta. Uno studio condotto dagli informatici Nello Balossino e Aldo Tamburelli dell’Università di Torino ha dimostrato, attraverso un’analisi comparativa su diverse monete anteriori al 1250, che la persona rappresentata in dette monete è la stessa della Sindone.
Il sistema utilizzato per fare l’analisi è stato creato in ambito criminologico e si basa sull’utilizzo di appositi programmi che sovrappongono le immagini e cercano i punti di convergenza.
Considerando che sono stati trovati dai 145 ai 250 punti di convergenza, e che ne bastano 60 per stabilire che si tratta di due immagini della stessa persona, il risultato è strabiliante.
In altre parole, se la persona raffigurata nelle monete è quella della Sindone e considerando che dette monete sono antecedenti al 1250, è chiaro che questa doveva per forza esistere in epoca pre-medievale.
Una ulteriore testimonianza di epoca post-costantiniana, ma pre-medievale, è data da Epifanio di Salamina, che, nel IV secolo, afferma di aver visto in una chiesa di Anablatha, in Palestina, «un lungo telo tinto e dipinto che portava l’immagine di un uomo a somiglianza di Cristo».
A tale proposito, è interessante notare che il dott. Frei Sulzer, direttore del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo, e il prof. Danin, botanico dell’Università di Gerusalemme, hanno riscontrato sulla Sindone dei pollini tipici della zona del Mar Nero. Pertanto la testimonianza di Epifanio può essere considerata attendibile.
Nel 944 l’Imperatore Romano decise di far portare l’immagine da Edessa a Costantinopoli, e incaricò Gregorio il Referendario, arcidiacono di Santa Sofia, di supervisionare la traslazione al fine di verificare che la reliquia fosse autentica.
Costantino Porfirogenito (futuro Costantino VII), uomo coltissimo, letterato e pittore, ebbe così modo di venerarla insieme alla famiglia reale, e si rese subito conto che l’immagine non era un dipinto, affermando che «era come se si fosse formata per impressione di fluidi». Non è dunque un caso se, proprio durante il suo regno, si cominciò ad introdurre un nuovo arredo liturgico nel rito bizantino: il cosiddetto “epitaphios”, ossia un lenzuolo dipinto o ricamato con la scena della Deposizione che si usa ancora oggi nel rito ortodosso del Venerdì Santo.
Una ulteriore testimonianza dell’esistenza della Sindone – questa volta in epoca medievale – è offerta da un manoscritto denominato “Codex Pray”: un miniato di manifattura ungherese del 1193. Si tratta di una tavola rappresentante, in alto, il Cristo nudo esattamente come si vede sulla Sindone, con le braccia incrociate e i pollici nascosti, disteso su un lenzuolo di lino bianco.
Arriviamo alla fine del Medioevo con la testimonianza di Robert de Clari, un cavaliere francese che partecipò alla Quarta Crociata nel 1204, il quale, nel descrivere le meraviglie della città di Costantinopoli, parla di una chiesa, S. Maria delle Blacherne, dove si troverebbe «la Sindone di Nostro Signore».
Questa è l’ultima testimonianza di cui disponiamo, perché proprio nel 1204 Costantinopoli subì un terribile saccheggio da parte dei crociati, con una razzia generale di reliquie ed opere d’arte. In seguito a ciò, Robert de Clari afferma che, da quel momento, «alcuno seppe, né greco né francese, che cosa avvenne di questa Sindone quando la città fu conquistata».
Eugenio Merrino