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L’ossigeno-ozonoterapia è un valido strumento soprattutto se utilizzato in fase precoce di malattia

«Dal nostro punto di vista l’ossigeno-ozonoterapia è un valido strumento tanto più utile quanto più utilizzato in fase precoce di malattia». 

A parlare così è il dott. Luca Marziani, dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Anestesia, Rianimazione, Ossigenoterapia Iperbarica e Terapia Antalgica del Presidio Ospedaliero di Vaio/Fidenza - ASL di Parma

Il dott. Luca Marziani è stato il referente per i trattamenti di ossigeno-ozonoterapia nel Presidio Ospedaliero di Vaio/Fidenza, in quanto è colui che ha eseguito le sedute di ozonoterapia ed elaborato i dati che sono stati poi inviati alla SIOOT (Società Scientifica di Ossigeno Ozono Terapia).

“Orbisphera” lo ha intervistato.

Quando avete conosciuto l’ozonoterapia e che cosa vi ha convinto ad utilizzarla per curare i malati di Covid-19?

Il rapporto tra questo Presidio Ospedaliero, in particolare la Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione, e l’utilizzo dell’ossigeno terapeutico è una storia che ha più di trent’anni. Infatti, nella allora vecchia sede dell’Ospedale di Fidenza, venne costruita la prima Camera Iperbarica della Regione Emilia Romagna, che ora, ampiamente rinnovata ed ampliata, è stata trasferita nell’attuale Presidio. Diverse migliaia di pazienti sono stati trattati in essa con la somministrazione di ossigeno ad alta pressione per curare svariati tipi di patologie, acute e croniche.

Da diversi anni conosciamo anche i benefici della miscela dell’ossigeno con l’ozono, tanto che in quella che è una delle attività gestite dalla nostra UOC, cioè la Terapia Antalgica, tale farmaco viene comunemente utilizzato per via iniettiva specie con somministrazione loco-regionale (muscoli, articolazioni…) sfruttando principalmente le sue proprietà antinfiammatorie, analgesiche ed immunomodulanti.

Nel nostro ospedale, fino a due mesi fa, non avevamo l’apparecchio generatore di ossigeno-ozono (utilizzato peraltro in altri ospedali pubblici della Regione Emilia Romagna, come ad esempio Piacenza, Fiorenzuola e Ravenna), ma grazie alla lungimiranza della SIOOT, che ci ha concesso l’apparecchio in comodato d’uso gratuito, abbiamo pensato di sfruttare le molteplici proprietà dell’ossigeno – ed in particolare, in questo caso, della miscela di ossigeno-ozono – per trattare i pazienti con polmonite da Covid-19, visto che era impraticabile l’utilizzo della Ossigenoterapia Iperbarica in quanto l’ossigeno somministrato per via inalatoria richiede l’integrità anatomo-funzionale del polmone, purtroppo assente in tali pazienti.

Quando avete iniziato ad utilizzare il protocollo di cura SIOOT per trattare i positivi al Covid-19? Quanti e quali pazienti avete trattato finora?

Il primo paziente è stato trattato il 30 marzo scorso. In totale abbiamo trattato fino ad oggi 11 pazienti. Sono state fatte 51 sedute di Grande AutoEmo Infusione (GAEI), che è la procedura consigliata dai protocolli SIOOT e che è attuata nei diversi centri che utilizzano tale metodica, per una media di 5 sedute (precisamente 4,6) per ogni paziente. Si va da un minimo di 1 sola seduta (a causa del decesso del paziente, trattato all’inizio della nostra esperienza anche se in gravi condizioni) fino ad un massimo di 9 sedute per singolo paziente.

10 di questi 11 pazienti trattati erano degenti nella nostra Rianimazione per gravi problemi respiratori legati al Covid-19 e quindi sottoposti ad intubazione e ventilazione meccanica. Di questi, 2 pazienti, già con condizioni assai compromesse all’ingresso, sono deceduti dopo rispettivamente 1 e 2 sedute di GAEI.

Altri 3 pazienti sono deceduti nel corso dei mesi di marzo ed aprile, mentre per gli altri 5 si è avuta remissione del quadro e dimissione dalla Rianimazione; sono attualmente in fase di riabilitazione respiratoria in ospedale o in un altro centro convenzionato.

L’ultimo dei pazienti in ordine cronologico è invece stato “intercettato” in Unità Operativa di Medicina, prima dell’aggravamento delle sue condizioni e della necessità di cure intensive. Questo per un recente “cambio di rotta” nella strategia di scelta dei pazienti da sottoporre ad ossigeno-ozonoterapia.

Quali sono quindi i vostri risultati? E perché il “cambio di rotta” di cui ha parlato?

È proprio dopo la valutazione dei risultati dei primi 10 pazienti che abbiamo deciso, visto anche quanto emerso dall’esperienza degli altri centri che utilizzano l’ossigeno-ozonoterapia, di trattare i pazienti che presentano un aggravamento delle loro condizioni respiratorie (valutate attraverso i valori di ossigeno presenti nel sangue arterioso, la “quantità” di ossigeno da somministrare e alcuni parametri clinici come la frequenza respiratoria) prima del “deragliamento” del sistema a causa dell’esaurimento delle “riserve respiratorie” del paziente che porta poi il paziente in Rianimazione. 

Senza scendere in particolari che potrebbero essere poco comprensibili alla maggior parte dei lettori, abbiamo visto che l’utilizzo dell’ossigeno-ozono non modifica l’indice di mortalità dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva ma risulta tanto più efficace nel migliorare le condizioni del paziente quanto più precocemente viene utilizzato, cioè prima che soprattutto il “fuoco amico” dato dalla abnorme risposta immunitaria scatenata dalla infezione virale vada a danneggiare in modo importante il polmone stesso. 

In particolare abbiamo visto nei pazienti trattati una corrispondenza tra miglioramento clinico, minor supporto di “lavoro” richiesto al ventilatore, minore quantità di ossigeno necessaria per mantenere le funzioni vitali e variazione di alcuni esami, tra cui aumento della concentrazione dei linfociti nel sangue circolante – pressoché azzerati in fase acuta – e diminuzione dei valori di Interleuchina 6, una delle principali citochine proinfiammatorie, presente in quantità assai elevate nel sangue dei pazienti all’ingresso.

E proprio l’avere verificato la maggiore efficacia che si ha se l’intervento con ossigeno-ozono viene fatto precocemente, ci ha suggerito il “cambio di rotta”.

In base alla vostra attuale esperienza consigliereste anche ad altri di utilizzare l’ossigeno-ozono per trattare pazienti con complicanze respiratorie da Covid-19?

In letteratura, allo stato attuale, non ci sono dati certi su questo trattamento riferito al Covid-19, ma questo sostanzialmente vale per tutto quello che finora abbiamo fatto per combattere questa pandemia: abbiamo preso “in prestito” farmaci antivirali usati nella lotta alla infezione da HIV, farmaci antimalarici, anticorpi monoclonali usati nella artrite reumatoide e via di seguito.

Certamente la ossigeno-ozonoterapia, dal nostro punto di vista, è un valido strumento, tanto più utile quanto più utilizzato in fase precoce di malattia. Esempio ne è l’ultimo paziente trattato che, benché già in condizioni compromesse, ha fatto la prima seduta quando ancora degente in UO di Medicina. Si è aggravato nella notte del giorno successivo (nel quale – per motivi tecnici – non si era potuto ripetere la seduta di ozonoterapia), ma alla intubazione ed alla successiva ventilazione meccanica ha presentato da subito un netto miglioramento degli indici ventilatori e degli esami emato-chimici, quindi un comportamento diametralmente opposto rispetto alla stragrande maggioranza dei pazienti di terapia intensiva, che normalmente vedono un netto peggioramento del quadro dopo l’inizio della ventilazione meccanica e richiedono diversi giorni di utilizzo del ventilatore, spesso accompagnati da necessità di prono-supinazioni per mantenere un livello minimale di ossigeno nel sangue circolante.

Questo paziente, prima di doverlo trasferire dopo 3 giorni per questioni organizzative in un’altra Terapia Intensiva della regione, non è mai stato pronato e presentava condizioni tali da poter tentare uno svezzamento dal ventilatore ed una estubazione dopo 4 giorni (contro una media di 20 giorni).

Può descriverci la storia di qualcuno dei pazienti trattati con ossigeno-ozono?

Questa catastrofe ha sconvolto l’esistenza di tantissimi. Ma sono convinto che per chi ci ha “vissuto dentro” (e mi riferisco in particolare agli operatori sanitari) questi eventi hanno irreversibilmente cambiato la vita: domande, talora senza risposta, sulla fragilità del nostro esistere, sulla sofferenza e sul dolore, sul tempo sprecato per ciò che non conta, e non intensamente vissuto per ciò che conta veramente.

Le storie, ma soprattutto i volti di tutti questi pazienti, giorno dopo giorno, ti si “scavano dentro”; la dignitosa ma lacerante sofferenza dei familiari “imprigionati” all’altro capo di un telefono ti “rimane addosso” e tante volte ti toglie il fiato e ti sfonda il cuore… e se su quel letto con un tubo in gola ci fossi io?… e se quello attaccato al cellulare alla ricerca di briciole di speranza fossi io?…

Ognuno di noi ha quotidianamente questi pensieri. Immagini, parole, sensazioni, odori, emozioni… che ci abitano. E, forse, non ci abbandoneranno mai.

Papa Francesco ci ha chiesto di essere vicino e di benedire queste persone a noi affidate. E tante volte l’abbiamo fatto. Ma non sempre siamo riusciti dove volevamo… e speravamo.

Non siamo riusciti a fare in modo che Alberto, 61 anni, potesse stringere tra le braccia Giuseppe, il suo nipotino, nato mentre era “attaccato ad un ventilatore”, sedato in un letto di Rianimazione. Andrea invece a 53 anni potrà continuare ad andare allo stadio per vedere le partite di calcio di suo figlio. E vogliamo sperare che Giovanni, 50 anni, l’ultimo dei pazienti ad oggi trattati, possa assistere, il prossimo settembre, al parto di sua figlia e diventare il “giovane nonno” che contava di essere.


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Intervista a cura di Antonio Gaspari
Direttore Orbisphera
www.orbisphera.org

04 maggio 2020 Indietro

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